“La casa del tè” di V. Principessa

12 Ott 2022 | Narrativa

“Avrei impiegato anni per capire che se non ti uccidono, persino dall’amore tradito e dai colpi più duri puoi guarire. Devi solo far pace con i segni, perché rimangono, scritti sulla pelle, anche se gli altri non li notano.”

La paura più grande che abbiamo di fronte alla sofferenza, credo sia il timore di non uscirne fuori, di non superare il dolore.

Ecco, se questo pensiero fosse il cardine attorno al quale far ruotare le vicende di giovani protagonisti, come raccontereste la loro storia?

Valerio Principessa in “La casa del tè” la racconta in modo intimo e personale, lontanissimo da ogni retorica. 

Con un ritmo lento (non perché la lettura sia pesante, tutt’altro) che dà il tempo di inspirare le parole e dare loro un senso profondo. 

Insomma, bello, bello, bello…

Ma consideriamo la lettura un po’ più nel dettaglio.

La trama

Gabriel è un ragazzo complicato. Ha una sensibilità tutta sua, paure che gli altri non riescono a leggere. Alla morte di sua nonna, Berta, viene accolto nella casa affidataria di una signora giapponese, Michiko. Casa Retrouvailles, nel Rione Monti a Roma, ospita già alcuni ragazzi: Leo, il più piccolino, Scar, Greta, Amina e Chiara. Sono giovani segnati da esperienze drammatiche, che, in cerca di un rifugio, si sono chiusi in loro stessi. Con grazia e gentilezza, pazienza e sensibilità, Michiko cerca di curare le loro ferite, di creare un luogo  in cui tutti loro possano sentirsi più leggeri. 

La mia opinione 

“La casa del tè” è un romanzo, nel quale ogni episodio, personaggio, sentimento si unisce agli altri in una bellissima armonia. Non c’è una nota stonata in questa storia triste, un po’ malinconica, ma in fondo luminosa.

Lo stile. La scrittura di Valerio Principessa è molto bella e raffinata, sempre garbata, in grado di evocare emozioni e sentimenti profondi, ma lontana da ogni retorica o esasperazione della sofferenza. Lo sviluppo della storia è lineare, e nel rendere il racconto affascinante ha un ruolo essenziale il protagonista, Gabriel, che è anche io narrante. Il suo giocare con le parole, attingere etimologie e paradigmi dalle pagine lette, arricchisce di sorprese e curiosità la narrazione.

I personaggi. Gabriel è un ragazzo distaccato, che ha problemi con il contatto fisico e che nel gestire questo suo disagio appare a volte indisponente. Segue una “pratica d’asceta” dondolando nell’illusione di avere un giorno un’esistenza lontana dai dolori del mondo. È cresciuto cercando di sfuggire alla sofferenza e il suo rifugio sono stati i libri e le parole

“Che fossero romanzi, o volumi ingialliti di un’enciclopedia, poco importava. Cercavo di colmare il mio vuoto con lo studio di qualsiasi argomento capitasse sotto mano”

Greta è sempre seduta con lo smartphone, non riesce ad allontanare il viso dallo schermo, è assorbita dal disperato tentativo di non perdere il contatto, di non scomparire. 

Chiara se ne sta coi capelli che le coprono gli occhi a sognare le stelle, lo spazio, un viaggio straordinario. 

Amina stringe un bambolotto, come se fosse pazza, ma lotta ogni giorno con il ricordo della migrazione che l’ha segnata per sempre.

Scar ha le cuffiette nelle orecchie per non sentire, è minaccioso e perde facilmente il controllo. È “dissonanza, contrasto che crea instabilità”

Leo è piccolino e pieno di vita.

Ma Michiko li sa dirigere come la migliore direttrice d’orchestra. Le bastano tazze di tè, racconti emozionanti e una saggezza che viene da lontano.

Sa comporre le loro insicurezze in qualcosa di simile a una famiglia. Ed è grazie a lei che i ragazzi imparano a fidarsi gli uni degli altri. 

L’ambientazione.  Sullo sfondo c’è la mia bella e adorata Roma. Il Rione Monti, il colle Oppio. Le passeggiate fra le strade affollate di turisti di giorno, e cupe e pericolose di notte. I bambini che giocano a pallone nella piazzetta, i ragazzi che rischiano di “perdersi” nella Suburra. Ma il luogo più magico di tutti è  Casa Retrouvailles

“l’unico posto al mondo in cui ti venisse voglia di lasciar correre. Lì dentro non ti sentivi in dovere d’essere un cerchio perfetto[…].Non saprei dire se fosse merito di quella donna vestita di seta, dell’odore perenne di tè, ma sta di fatto che ogni singolo tassello sembrava parte di un enorme giardino di pietra, il Karesansui della cultura Zen”

Perché leggere questo libro 

Se pensate che condividere le debolezze e le paure sia liberatorio, troverete questo libro emozionante, catartico.

Se cercate personaggi da conoscere in tutta la loro fragilità per poi portarli nel cuore, amerete questo libro. 

Io l’ho adorato e per me è consigliatissimo

Post by Sara P.

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