Il mondo, si sa, in fatto di caldo è diviso in due: ci sono gli entusiasti di sole ed alte temperature ; ed i “simil orso polare”, non letteralmente, si intende, e non in via d’estinzione, fortunatamente. Con “simil orso polare”, intendo quegli sfortunati soggetti che come me patiscono l’innalzamento delle temperature come plantigradi al Polo di fronte agli iceberg che si spaccano:cioè con un impatto devastante. Ma procediamo all’analisi dell’una e l’altra categoria.
Gli amanti del caldo manifestano in modo sicuro e baldanzoso la loro capacità di resistenza. Al mare stanno al sole per ore ininterrottamente, bevono limitatamente, sudano in modo garbato, e soprattutto alla fine delle vacanze mostrano un aspetto sano ed un colorito invidiabile.
Questo non accade a me, che appartengo ovviamente all’altro gruppo. Il mio rapporto con il sole al mare è stato sempre un complesso tira e molla. All’inizio ho fatto la parte di quella che fuggiva. Cioè, avendo io un fototipo chiaro, per evitare di desquamare per tutti e tre i mesi estivi e per mantenere un colorito che non fosse rosso vivo, aragosta o rosa shocking (tutte tinte che si intonano con difficoltà ad altro), ho usato Creme solari di protezione a schermo totale, fattore non sotto il 50, se possibile. È chiaro che con un simile unguento spalmato in modo non omogeneo ma a strati spessissimi avevo una percezione alterata di umidità e temperatura esterne. Era come camminare sereni e ammiccanti sul bagnasciuga rivestiti di uno rotolo di cellophane o di una guaina tenace ma invisibile. Non parliamo poi del risultato ottenuto. Io audacemente lo definirei animalier , perchè è impossibile ricoprire il corpo uniformemente senza dimenticare nulla ed allora l’effetto macchia di leopardo è inevitabile. Dunque ho vissuto i primi anni di contatto con il sole così : alternando una tinta unita rossa spregiudicata ad un noncurante spezzato/ pezzato e confidando che la mia condizione di volta in volta si adattasse ai nuovi trend del momento . Poi dopo tanto tempo ho smesso di lottare contro le scottature perché il sole ha semplicemente iniziato a passarmi attraverso, i miei pigmenti melaninici sono partiti per un lungo viaggio ed il carotene per me è diventata una sostanza misteriosa al pari di certi intrugli da alchimisti spregiudicati.
Questa mia condizione però non mi dispiacerebbe se non fosse che a fine stagione, vedendomi pallida come un cencio dopo tre mesi di mare, parenti ed amici sottolineano il fatto apostrofandomi così ” ahó, ah bella, ma vacce un po’ al mare, ce abiti!”
In questi casi rinuncio ad ogni spiegazione e mantengo un dignitoso silenzio.
Quello che invece percepisco oggi come allora è l’innalzamento della temperatura. Questo produce in me effetti e sensazioni diverse. Prima sento un leggero fastidio, poi comincio a sentire l’affanno, e più mi dico che fa caldo più inizio a bollire. Alla fine boccheggio e mentre la maglietta mi si appiccica addosso come una ventosa, cominciano a sudare parti inaspettate del mio corpo, come le sopracciglia o il sotto coscia. Se sto viaggiando sul treno mi viene l’ansia da “striscia di lumaca” cioè il terrore incontrollabile di lasciare un’impronta sul sedile o un alone sui vestiti. E mentre mi agito e zampillo, la pressione si abbatte. Cioè la mia pressione comincia a rispondere a questo dinamismo dei fluidi con atteggiamento rilassato. Arriva a valori estremi, 60/90, 50/80 ed a volte scende ancora di più fino a valori da soggetto clinicamente estinto. Allora per la pressione ed il caldo e per scongiurare la disidratazione bevo ettolitri di intrugli. A volte tè verde drenante e poi la sera guardo il lampadario spento fino alle tre del mattino; a volte roba rossa, verde, arancione o perfino blu. Tutti questi intrugli dai colori vivaci, uniti alla sudorazione spudorata, e all’andatura barcollante (perché con la pressione bassa ti si otturano pure le orecchie) rendono diffidenti e sospettosi i compagni di carrozza del treno.
Ma io resisto! Sento la lingua sempre più allappata e felpata. La sete cresce, e vedo oasi immaginarie e cascate come miraggi fra le auto del parcheggio della stazione. Penso a cappelli con piccola elica-ventilatore applicata, a spruzzini multicolor dalle forme fantasiose pieni d’acqua gelida, al ghiaccio secco e alla mia faccia davanti al bocchettone dell’aria condizionata. E’ a quel punto che ogni giorno mi dico caparbia che è ora di vincere il caldo. E allora sarebbe logico abbandonare la vita all’aperto nei mesi più caldi. Ma non posso perché lavoro all’aperto. E allora sarebbe logico sopportare pazientemente per poi rinfrancarsi con una bevanda fresca e aria condizionata al rientro a casa. E vi stupirò rivelandovi che l’ho fatto, ma vi dirò pure che sono tre giorni che ho i dolori per la cervicale…. E allora sarebbe logico migrare… Sì,sì dall’orso polare, appunto.
Intanto nel dubbio aspetto: non vedo l’ora che torni il freddo…
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